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Il D.Lgs. 21 maggio 2018, n. 68, promulgato in “Attuazione della direttiva (UE) 2016/97 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 20 gennaio 2016, relativa alla distribuzione assicurativa”, si è preoccupato, fra le tante cose, di estendere all’intero mercato delle assicurazioni private i metodi di risoluzione alternativa delle liti (cd. A.D.R.), imponendo alle imprese di assicurazione di aderire ai relativi sistemi di conciliazione e sottoponendo questi ultimi ad una serie di regole e principi.
L’intervento normativo in epigrafe, nel riformare ampiamente il codice delle assicurazioni private, non ha dimenticato di dedicare una qualche attenzione alla questione della risoluzione stragiudiziale delle liti insorte fra le imprese di assicurazioni ed i rispettivi clienti in merito alla commercializzazione di prodotti assicurativi, in coerenza con un’ormai consolidata tendenza legislativa a potenziare i rimedi di giustizia alternativa, avocando all’autonomia negoziale (seppur assistita) il ruolo di primaria protagonista ed artefice della composizione delle controversie e relegando ad extrema ratio il ricorso al presidio giurisdizionale.
Nella specie, l’obiettivo di deflazione del contenzioso giudiziale è stato perseguito in maniera piuttosto elementare, se non rudimentale, mutuando per la specifica materia assicurativa il sistema di risoluzione stragiudiziale delle controversie già introdotto e definito per le controversie fra consumatori ed imprenditori o professionisti dagli artt. 141/141-decies, D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206.
La tecnica redazionale del legislatore è consistita, in modo particolare, nell’inserimento, all’interno del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (c.d. Codice delle Assicurazioni Private), dell’art. 187-ter, il cui contenuto letterale è bene riportare per esteso nei suoi quattro commi:
“Fermo restando quanto previsto dall’articolo 32-ter del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, i soggetti di cui all’articolo 6, commi 1, lettere a) e d) nonché gli intermediari assicurativi a titolo accessorio, aderiscono ai sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie con la clientela relative alle prestazioni e ai servizi assicurativi derivanti da tutti i contratti di assicurazione, senza alcuna esclusione.
Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della giustizia, su proposta dell’IVASS, sono determinati, nel rispetto dei principi, delle procedure e dei requisiti di cui alla parte V, titolo 2-bis del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 [cioè gli artt. 141/141-decies, n.d.r.], i criteri di svolgimento delle procedure di risoluzione delle controversie di cui al comma 1, i criteri di composizione dell’organo decidente, in modo che risulti assicurata l’imparzialità dello stesso e la rappresentatività dei soggetti interessati, nonché la natura delle controversie, relative alle prestazioni e ai servizi assicurativi derivanti da un contratto di assicurazione, trattate dai sistemi di cui al presente articolo. Le procedure devono in ogni caso assicurare la rapidità, l’economicità e l’effettività della tutela.
Fermo restando quanto previsto dall’articolo 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, le disposizioni di cui ai commi da 1 a 3 non pregiudicano il ricorso ad ogni altro strumento di tutela previsto dall’ordinamento.
Alla copertura delle relative spese di funzionamento, si provvede, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, con le risorse di cui agli articoli 335 e 336 del presente Codice”.
Sono cinque le questioni d’interesse sollevate dalla summenzionata previsione normativa, riconducibili, in estrema sintesi:
· all’esatta identificazione dei soggetti economici sottoposti all’obbligo di aderire ai meccanismi di A.D.R.; · all’individuazione dei principi, procedure e requisiti che già governano lo svolgimento delle procedure di A.D.R. definite nel Codice del Consumo e cheper relationem vengono estesi all’ambito assicurativo; · le nella sfera assicurativa, la cui precisa descrizione viene affidata ai regolamenti ministeriali; · i costi e le modalità di finanziamento di questi nuovi strumenti conciliativi. |
a) Per quanto concerne la delimitazione del perimetro della platea di operatori economici assoggettati alla nuova normativa, il 1° comma richiama le fattispecie di cui all’art. 6, lett. a) e d), del Codice delle Assicurazioni private, ossia, per un verso, “le imprese, comunque denominate e costituite, che esercitano nel territorio della Repubblica attività di assicurazione o di riassicurazione in qualsiasi ramo e in qualsiasi forma, ovvero operazioni di capitalizzazione e di gestione di fondi collettivi costituiti per l’erogazione di prestazioni in caso di morte, in caso di vita o in caso di cessazione o riduzione dell’attività lavorativa” (lett. a), nonché, per l’altro, “gli intermediari di assicurazione e di riassicurazione e ogni altro operatore del mercato assicurativo” (lett. d).
Rimangono escluse, pertanto, soltanto le imprese che, pur appartenendo al settore assicurativo, trovano come naturale referente contrattuale altri operatori istituzionali o, comunque, qualificati (rimanendo, pertanto, estranei ad ogni contatto negoziale con la clientela al dettaglio), come, ad esempio, coloro che svolgono unicamente attività di riassicurazione ovvero si limitano a fornire servizi a vantaggio delle medesime assicurazioni.
b) Il richiamo relazionale alle norme del Codice del Consumo appare piuttosto infelice, se non altro perché esse non tratteggiano un’unica formula di A.D.R., ma ne prospettano almeno tre (modello ordinario, negoziazioni paritetiche e procedimenti coordinati dalle Authorities), tutte aventi la medesima dignità giuridica, benché radicalmente differenti nelle modalità di svolgimento delle procedure conciliative. In modo particolare, i vari archetipi conciliativi si diversificano sensibilmente in base all’organo chiamato a gestire la procedura e, più specificamente, alla sua aderenza rispetto ad una delle parti: nulla vieta, infatti, che l’amministrazione della procedura di A.D.R. sia assegnata ad un organismo creato e finanziato dagli enti esponenziali del contraente forte (nel nostro caso, dalle compagnie di assicurazione) e, quindi, non certo collocabile in una situazione di assoluta imparzialità, ma, comunque, capace di consigliare equamente i contendenti in ordine alle possibili soluzioni conciliative.
Alla luce di ciò, gli unici principi che parrebbero accomunare tutti i procedimenti di A.D.R. ex D.Lgs. n. 206/2005 e che, dunque, dovrà penetrare anche nella struttura dei nuovi A.D.R. in tema assicurativo sono la deformalizzazione della procedura, non rinvenendosi norme impositive di particolari incombenti formali, nonché la superfluità dell’assistenza legale, che, ovviamente, se esistente, dovrebbe essere specificamente e letteralmente imposta dalla legge.
c) Del resto, i principi di rapidità, economicità ed effettività che devono informare la parentesi conciliativa, così come individuati dal legislatore, ben difficilmente si coniugano con l’obbligatoria partecipazione del difensore, i cui compensi, non di rado, superano il valore economico delle pretese. Si rammenta, a questo proposito, come, persino nella materia della mediazione obbligatoria e delegata, sono stati sollevati autorevoli dubbi sulla conformità ai trattati comunitari (Trib. Verona, sez. III, Giudice: Dott. Alberto Vaccari, 27 febbraio 2018).
d) L’eventuale proposizione, ad opera del cliente, di un procedimento di A.D.R. protesa a definire consensualmente una vertenza in materia di contratti assicurativi possa determinare delle interferenze rispetto alle procedure di conciliazione il cui esperimento è imposto dall’ordinamento a pena d’improcedibilità della domanda giudiziale.
Valga rilevare, a questo proposito, come le controversie in materia di contratti assicurativi siano sottoposte all’obbligo di preventivo esperimento del tentativo di mediazione civile e commerciale ex art. 5, comma 1-bis, D.Lgs. 4 marzo 2010, n° 28, a pena d’improcedibilità della domanda giudiziale, rilevabile d’ufficio dal Giudice ed eccepibile dalla controparte entro l’udienza di prima comparizione e di trattazione.
È il terzo comma della disposizione legislativa in argomento ad occuparsi della problematica, affermando l’insensibilità dell’obbligo di mediazione all’esperimento dei procedimenti di A.D.R., nel senso che il primo persiste anche qualora le parti abbiano fatto ricorso ai secondi.
Il principio, singolarmente considerato, non appare contestabile, se non altro perché il tratto saliente della mediazione risiede nella partecipazione del mediatore al confronto dialettico fra i litiganti e, dunque, nel contributo offerto da un professionista altamente qualificato e, in modo particolare, particolarmente esperto nel promuovere soluzioni conciliative che le parti personalmente ed i loro avvocati riuscirebbero più difficilmente ad individuare. La medesima potenzialità, invece, non si rinviene necessariamente nelle procedure di A.D.R., che, potendo svolgersi secondo modelli organizzativi sostanzialmente liberi da vincoli ed imposizioni legali, possono prescindere dall’intervento di soggetti dai connotati assimilabili al mediatore.
È ragionevole chiedersi, tuttavia, se lo svolgimento, in maniera seria ed effettiva, di un tentativo di conciliazione in sede di A.D.R., se dimostrata in giudizio, possa costituire uno dei criteri in forza del quale il giudice può demandare le parti in mediazione, ex art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 28/2010. Allo stato, parrebbe imporsi una risposta negativa perché i parametri legislativi su cui la decisione giudiziale di deferire la mediazione, cioè “la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti”, non sembrano poter includere, neppure in una prospettiva interpretativa espansiva, gli approcci conciliativi svolti dai contendenti in ambito stragiudiziale. In una logica di riforma del D.Lgs. n. 28/2010, parrebbe opportuno ancorare l’ordinanza giudiziale dispositiva della mediazione ad una motivazione che contenga, seppur in forma succinta, la specifica indicazione delle concrete ragioni che inducono il giudice a ritenere verosimile il raggiungimento dell’accordo amichevole, magari consentendo anche la valutazione di quanto avvenuto fuori dal processo.
Dalla lettura della novella legislativa non emergono, invece, cenni sulla coordinazione degli strumenti di A.D.R. con la negoziazione assistita, obbligatoria nelle controversie in materia di sinistri stradali e di valore economico non superiore ad € 50.000,00 (art. 3 del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito dalla legge 10 novembre 2014, n. 162).
L’anomia legislativa non sembra poter tradursi in un’implicita obliterazione della condizione di procedibilità riferita alla negoziazione assistita, se non altro perché la nuova normativa sembra aver sostanzialmente ignorato (con la sola eccezione della mediazione) la tematica delle condizioni di procedibilità della domanda e, dunque, ben difficilmente da essa può ricavarsi una volontà abrogativa.
Merita una menzione, poi, l’inciso con cui esordisce il nuovo art. 187-ter del D.Lgs. n. 209/2005(“Fermo restando quanto previsto dall’articolo 32-ter del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58”), con il quale il legislatore ha inteso confermare la vigenza della normativa attinente alle imprese di assicurazione che svolgono attività di intermediazione finanziaria (e, quindi, non propriamente assicurativa, ma incidente su investimenti a vocazione speculativa o conservativa), con riferimento all’obbligo di aderire ai sistemi stragiudiziali di risoluzione delle controversie con i clienti al dettaglio, gestite sotto l’egida della Consob.
e) Da ultimo, non ci si può astenere dal sottolineare che le nuove procedure di A.D.R. non saranno finanziate dai soggetti che vi accedono, ossia dai protagonisti delle singole liti, ma si sosterranno con il contributo di vigilanza che imprese ed intermediari di assicurazione e di riassicurazione sono tenuti a versare all’autorità di controllo, con conseguente traslazione di tali costi sulla generalità dei premi assicurativi e, quindi, anche dei cittadini che non gradiscano fruire di questo genere di servizi.
Da un’analisi globale dei numerosi mezzi di conciliazione recentemente introdotti nel nostro ordinamento sembrerebbe emergere che il legislatore sia convinto di ridurre il contenzioso giudiziale, non già tramite la creazione di un unitario e ben definito circuito di giustizia alternativa, ma con la continua ideazione ed inesorabile ideazione di nuovi modelli conciliativi, spesso in competizione fra di loro, sovrapponibili fra di loro e privi di una loro specificità e talvolta, come in questo caso, a spese della collettività.